“Ah l’amore l’amore” di Antonio Manzini

Dopo aver letto “Ah l’amore l’amore” di Antonio Manzini (Sellerio 2020) ho deciso di parlarne, visto che chi mi conosce sa che solitamente non amo i gialli e anche del mio scrittore preferito, Georges Simenon apprezzo i “non gialli” (quelli dove non c’è Maigret). Ma la serie di Rocco Schiavone portata sullo schermo dall’eccezionale Marco Giallini è davvero avvincente, e merita di essere citata.

Il vicequestore Rocco Schiavone si trova in ospedale, dopo l’asportazione di un rene dovuta a una pallottola che lo ha ferito durante un’operazione di servizio con alcuni colleghi. Divide la camera con Curreri, un personaggio querulo e invadente che gli avvelena le giornate e, nonostante i punti al labbro tumefatto, non fa altro che parlare e lamentarsi. Nello stesso ospedale, il giorno di Natale, è morto sotto i ferri di un’analoga operazione l’imprenditore Roberto Sirchia. Pur rallentato dalla convalescenza, Rocco, che non crede all’errore medico, comincia, con i suoi soliti modi poco ortodossi e irriverenti, eppure efficaci, a indagare, complice anche la sua squadra di pittoreschi esemplari delle varie regioni italiane: da Senigallia Antonio Scipioni, dalla Sicilia la dottoressa Gambino, dalla Toscana il medico legale Fumagalli, dalla Puglia Ugo Casella. Rocco e compari si mettono subito all’opera, indagando negli squallidi meandri dell’ospedale, scoprono che la morte del Sirchia non è stata un incidente causato dall’affranto primario dott. Negri, ma un vero e proprio omicidio. La trama, piuttosto semplice ma ben condita, si dipana in un intreccio costruito ad arte in cui la storia principale – il caso da risolvere – si intervalla a quelle secondarie, ovvero le vite dei vari personaggi. Scipioni e le sue tre fidanzate, Italo Pierron e le serate al tavolo da gioco per spennare il pollo di turno, Ugo Casella, timido e impacciato che tenta di dichiararsi alla vicina di casa, il giovane Gabriele – ragazzino ospitato da Rocco a casa sua insieme alla madre ex ludopatica – e i suoi primi palpiti amorosi. Le varie scene si incalzano, si susseguono quasi a voler rendere a volte la contemporaneità che le caratterizza. L’incipit porta subito in medias res, descrivendo con breve e concitata irruenza la scenda dell’operazione e della morte di Sirchia, seguita dall’articolo di giornale a opera di Sandra Buccellato. Vi sono rimandi anche agli altri volumi della serie, come il tradimento di Caterina Rispoli collega di Rocco, la foto della ex moglie di Baldi che scompare e riappare sulla scrivania, e il caso Baiocchi che è il filo conduttore di tutti i libri con protagonista Schiavone, anche se il romanzo può essere letto in maniera indipendente senza difficoltà.

Il romanzo è scritto in terza persona, anche se l’io narrante cambia e si fa di volta in volta o quello onnisciente o quello di uno dei personaggi, dei quali si esplorano pensieri ed emozioni. Il linguaggio usato è scorrevole, con descrizioni brevi e asciutte, che non rallentano il ritmo narrativo, a volte si fa uso di termini alti e raffinati, come “ctonio”, alternati ad espressioni dialettali. I dialoghi sono ben congegnati, ogni personaggio ha il suo modo di parlare, con espressioni tipiche e vernacolari. Le similitudini spesso hanno la funzione di attivare l’ironia (“Rocco aveva visto toporagni più espressivi di quel principe del foro”; “Le canne erano al loro posto, gonfie e allineate come proiettili di un mitragliatore”), e così anche alcuni aggettivi: “pioggia albionica”, “verdino burocratico”. L’abitudine di Rocco di assimilare i nuovi personaggi a nomi scientifici di animali ha la capacità di rendere grotteschi ma assolutamente ben abbozzati da quell’accostamento naturalistico uomini e donne che con Schiavone si relazionano.

L’ambientazione è quella cupa e fredda di Aosta, città nella quale Schiavone da Roma è stato trasferito per punizione e dove, con i suoi loden e le sue Clark che si inzuppano e che deve spesso cambiare, patisce freddo e desolazione. In più l’ospedale, con i suoi ambienti asettici e antiquati, il cattivo odore, i labirinti seminterrati, offre al lettore un quadro desolato, che corrisponde all’animo triste e rassegnato di Rocco, incapace di riprendersi dalla morte violenta della moglie Marina con cui ancora dialoga, come se fosse accanto a lui. Le descrizioni dei luoghi sono piccole sapienti pennellate che non si dilungano, ugualmente riescono a far immaginare le scene con chiarezza. I personaggi sono tutti ben caratterizzati attraverso le loro storie, i pensieri, il modo di parlare “regionale”, anche le semplici comparse hanno un’aria da macchietta inconfondibile. Ad esempio il cugino Nicola “o saccio” di Scipioni, ignorantone che non s’è mai mosso di casa e si dà arie da sapiente.

Il romanzo ben si inserisce nella tradizione del giallo italiano e ne presenta tutte le caratteristiche, per quanto il personaggio centrale, Rocco Schiavone, abbia caratteristiche tutte sue che lo pongono tra la seria mestizia di Maigret, la studiata sciatteria del tenente Colombo e la disonestà de “Il cattivo tenente” di Abel Ferrara.

Buona lettura!

PS, se qualcuno vuole prenderlo in biblioteca dia un’occhiata qui

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